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Cosa dice mamma

Massimo Decimo Matrimonio

Ora vai a capire perché il numero dieci non mi conduca ai dieci comandamenti. Troppo facile dire chi comanda in questa casa. I bambini, ovvio. 

Né penso ai dieci piccoli indiani, ne abbiamo due ma per dieci valgono. Nemmeno sovviene la maglia di un attaccante. Qua si gioca in tutte le posizioni. E neanche il voto con lode. La perfezione non appartiene a nessun matrimonio, neanche ai più riusciti. Al limite penso alle dita delle mani e dei piedi, ché in questi dieci anni abbiamo lavorato e camminato. Tanto.

Fatto sta che questo anniversario mi vien di chiamarlo Massimo Decimo Matrimonio. È importante dare un nome a ciò che proviamo. In questa quotidiana, eterna prova, fisica e mentale, di battaglie ne abbiamo vinte molte. Non tutte. Ma di certo abbiamo dato il massimo.

Al mio segnale scatenate l’inferno, diceva quel pivello di Russel Crowe che avrà pure affrontato l’ira di Commodo ma non ha conosciuto lo scomodo della nostra bettola umida, mentre ristrutturavamo la futura casa.

Al mio segnale scatenate l’inverno. Il freddo nell’aria, il vuoto nel grembo. L’assenza. Replicata, spietata. La voglia di stringersi di più.

Al mio segnale scatenate l’eterno, dicemmo poi nello scoprirci nuovi. Tornare a casa e sentire la vertigine di un’altra vita nelle nostre mani. Nella testa, nelle braccia, nel petto. Nelle notti lunghissime eppure illuminate. Nella luce, sì, che rischiara quell’unica immensa possibilità di vivere ancora, oltre, sempre.

Al mio segnale scatenate il materno e il paterno. Due dimensioni così diverse così complementari. Non saremmo la madre e il padre che siamo se non fossimo insieme. Un padre a limitare il rigore, una madre a frenare il furore. E insieme a giocare. Meravigliosi bambini, noi con loro.

Il fraterno, quello proprio no. Incatenatelo a vita. Questo matrimonio non prevede intimità negate né contemporaneità nell’uso del bagno.

Al mio segnale scatenate l’impegno. Non è mai stato facile ma siamo sempre stati felici nel credere in noi, in questi tempi duri. Quando scopri che i soldi non fanno la felicità ma la loro mancanza sa toglierla eccome. Quando si scatena l’indegno persino, quando l’obiettivo diventa stare a galla ma tu sai, l’hai vissuto per molti anni, che nuotare in mare aperto è paura ed è scoperta. È stupore di coralli.

Al mio segnale, oggi, scatenate l’odierno. Il matrimonio non è essere sposati ma sposarsi ogni giorno. Scegliersi. Guardarsi con coraggio, ascoltarsi nelle urla e nei silenzi e perdersi. E ritrovarsi. E decidere e desiderare ancora. Non per inerzia, per un contratto o per i figli. Per scelta. Perché siamo diversi e anche oggi amo quello che siamo. Che possiamo diventare. Scelgo noi che sappiamo crescere, lavorare fianco a fianco, una pinza e Mariarosa, confrontarci, litigare di brutto, far pace di bello, migliorarci, fermarci, chiedere scusa. E soprattutto sappiamo ridere. E io questo voglio, ridere.

Come in quella foto di dieci anni fa. Gli altri a fare scatti in posa e noi a scattare linguacce. Senza dircelo. Perché un errore ci ha negato la comunione dei beni ma non ci manca la comunione d’intenti. Sguardi complici, sorrisi fertili. Siamo piccoli, folli e potenti.

 

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