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Cosa dice mamma

Il dolore è la fine di un’estate

Che giorni strani, questi di fine agosto. Non è la fine dell’estate, qui in famiglia. È la fine di un’era, anzi, la fine della nostra giovinezza. Perché, bambini miei, avere a che fare con la morte fa diventare grandi. Io, forse, proprio piccola non sono stata mai, ma di sicuro sono diventata grande quando il 21 luglio del 2007 ho saputo che all’intervento di nonno Angelo qualcosa non era andato come doveva (chi lo dice poi come devono andare le cose?). Quella notizia non poteva darmela che vostro padre. Io credo di averlo amato di più in quel momento di voce rotta che nemmeno lui sapeva bene cosa dire. Nessuno sapeva, allora.
Non lo sapevo neanche quando l’ho visto in un letto d’ospedale, era giallo. Quanto può essere cinico il dolore che mi fece pensare: cosa diavolo succede a mio padre che ha il colore dei Simpson? Giuro, ho pensato così. E mi veniva da piangere e ridere insieme. Ma non è stato allora che ho capito. Ho capito pochi giorni dopo, tornando dall’ospedale a casa, in auto con papà, sempre lui al mio fianco. Scoppiai a piangere all’improvviso, rompendo un silenzio gelido con una valanga di dolore: mio padre sta per morire.

Quello che è venuto dopo non si può dire. Voglio dirvi però, piccoli miei, di quella fine d’estate. Quando lasciai uno stage al Corriere del Trentino (dove nonno Angelo aveva insistito che tornassi, con l’obbligo di raccontargli ogni giorno cosa scrivessi) per tornare a vivere gli ultimi giorni con lui. Dovetti mentirgli sul motivo di quel rientro anticipato. Diedi la colpa alla redazione, meravigliosamente complice. Quello che voglio dirvi è che la notte prima di partire, avevo una paura fottuta. Ecco, questo voglio che lo sappiate sempre. Avevo una paura fottuta, stavolta sapevo. Non abbiate paura della paura. Dopo, non sarete più gli stessi.

Come non lo siamo stati noi, quattro anni fa, quando papà ha guidato dietro un’ambulanza. Dentro c’era nonno Giuseppe. Io ero a casa nel letto dove voi amate saltare, a passare un’altra notte di fottuta paura. La fine di un’altra estate. Mi sono liberata dalle spine di quel letto solo quando, fatta alba, ho potuto prendere il primo treno per raggiungere papà. Quando abbiamo potuto stringerci le mani di nuovo, solo allora quella paura ha avuto un senso. Questa volta sono stata io a dirgli, con i miei occhi e con la mia vita, quello che sarebbe stato.

Voglio dirvi anche questo, che nonno Angelo fu una roccia, condusse quella guerra impari con una forza che non dimenticherò. Sembravano un gigante contro un uomo piccolo, sempre più piccolo. Che però un giorno, dinanzi all’inutilità delle cure, mi disse: va bene, andiamo avanti. Lo fece tutti i giorni fino all’ultimo, insegnandomi che a prescindere dall’esito la battaglia si vince nel momento in cui si lotta. È quello che ci rende forti.
Nonno Giuseppe forte lo è stato in tutti i giorni che ha amato la sua famiglia. Di un amore quasi devoto. E sì, bambini miei, si può essere forti nell’amore. Saldi, nello stare accanto. Una roccia, a suo modo, di quelle che sono lì per moglie e figli a dire proprio questo: io sono qui, col mio sguardo buono, il mio sorriso gentile, il mio naso grande (quello forse lo conoscerete). E il mio braccio sulla spalla. Ecco, nonno Giuseppe per me è stato soprattutto un braccio sulla spalla.
Quello che tengo a dirvi, però, è che entrambi hanno avuto paura. L’hanno anche le persone più forti. Papà si è addolorato a volte per quello sguardo di paura di nonno Giuseppe. Avrebbe voluto potergli dire lui, per una volta: sono qui. Ma io so che l’aveva già fatto ogni giorno della loro vita insieme. Io c’ero quando nonno Angelo guardava di paura, perché la vita doveva darci questa occasione mancata in tanti anni precedenti.

A voi non è data occasione di viverli. Ma resta la loro “eredità di gioia”. Siamo noi, che ve li faremo amare per ciò che erano: due esempi di forza e di paura. Perché non vi manchino né l’una né l’altra. Io so che conoscerete il dolore. E certo, da mamma, mi fa soffrire l’idea di voi nel dolore. Ma voglio dirvi, avrete paura, e avrete la forza. E a volte il dolore vi sembrerà enorme, vi sembrerà troppo. Fidatevi di mamma, ce la farete. Soprattutto se avrete paura con qualcuno da guardare negli occhi.

Maledetto sia quel dolore, benedetto sia il modo in cui lo affronterete. Sarà la fine di un’estate. E poi, sarete grandi.

Dedicata a me e Marco, ai bambini che siamo (stati), l’immagine è tratta dal libro “Genitori felici” di Laetitia Bourget ed Emmanuel Houdart (ed. Logos)

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