Tra un titolo su George Michael e uno su Virginia Raggi (che francamente trovo più triste la fine della seconda) leggo di continuo notizie tipo: Anche gli uomini hanno il ciclo. Lo dice la scienza. Penna e taccuino battono il computer. Lo dice la scienza. I bambini prendono l’intelligenza dalla mamma. Lo dice la scienza.
Cosa sarà questa necessità di cose inconfutabili, di una dottrina a fare da garante a quel che ci accade? Basta diventare genitori per scoprire che le certezze più insormontabili crollano dinanzi a una notte insonne, un latte rigurgitato e un sorriso che hai creato tu. Tu?!? Cioè, chi era quello di ieri che credeva alle cose fatte in un certo modo? Che ora c’è da credere solo a quel sorriso lì e a quella vampa che ti nasce dentro, a quel pianto disperato e a quel tornado che ti svuota le viscere: la re-spon-sa-bi-li-tà. Una roba che non ci devi pensare troppo, ci devi solo stare. E stiamo.
Questo Natale noi siamo stati. Volevamo un caldo natale e ne abbiamo avuto uno da 39.7. Per tutti. Che non sai quant’è faticoso avere un bimbo ammalato finché non sei genitore, ma poi non sai quant’è devastante averne due ammalati finché non ci arrivi, e anche lì, non sai quant’è spiaccicante averne due ammalati ed esserlo anche tu e contemporaneamente il papà. Quando sei a quel punto, hai vinto. Ma quando mai è stato bello arrivare all’ultimo livello?
La sfida, quello è sempre il meglio. E noi ci siamo superati, dai. Perché la scienza più esatta dell’universo, cioè la tradizione, ci avrebbe visti circondati dalla famiglia a mangiare mille meravigliose portate, di corsa, per poi lamentarci che come sempre mangiamo di corsa, avrebbe visto i piccoli tutti elettrizzati alla consegna dei regali e noi genitori agonizzanti nel metterli a letto. E invece no, tra febbre, placche e vomito abbiamo preparato piatti di biscotti per Babbo natale e carote per le renne, abbiamo sentito il suono delle campanelle, abbiamo ammirato lo sguardo incantato dei bambini dinanzi ai doni. E ci siamo incantati per i nostri, di doni. Che porca miseria questi bambini così intelligenti e così sensibili e così straordinariamente differenti eppure fratelli, ecco noi li amiamo e loro si amano. E sono figli nostri. E questo solo sa dire la scienza. Che sono nostri. Ma non sa come. Non sa ogni giorno. Che ne sa la scienza di questo Natale di gasteme, di digiuno, di antibiotico come fosse panettone? Che ne sa dei pianti che l’hanno preceduto? Della paura che ti blocca e della stanchezza che ti fa sbagliare fino a trovare il peggio di te? Che ne sa della solitudine di chi amiamo? E di chi è lontano da noi eppure soffre e muore, e vede morire, anche a tre anni? Ieri abbiamo costruito una super-ferrovia in legno che oggi ci costringe a dormire sul pianerottolo. I bambini ci giocano da due giorni ininterrottamente perché non c’è niente di meglio che costruire, viaggiare, scoprire, e farlo in uno spazio grandissimo. È ciò che augurerei a qualunque bambino, specialmente ai bimbi di Aleppo i cui occhi agghiacciati non mi levo dalla testa mai. Mai.
Abbiamo messo a letto i nostri bimbi fortunati che sono pure la nostra fortuna. E quant’è bella la reciprocità. Ora ci aspetta una maratona di Scrubs, un telefilm dove giovani medici combattono un quotidiano di tanta scienza e pochi sprazzi d’umanità. Forse il meglio è proprio lì. In quel che dice la scienza. E l’umano capovolge.
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