L’espressione perdere un bambino mi ricorda sempre De André: “Lo sa che io ho perduto due figli? Signora, lei è una donna piuttosto distratta”.
Io l’ho perso un bambino. Non per distrazione e nemmeno per volontà. Ha deciso la vita, la natura anzi. Così diceva il ginecologo quando vedevamo il suo battito lento, sempre più lento. Un’agonia di tre settimane. È una selezione naturale, disse, l’embrione non è abbastanza forte e la natura non fa proseguire la gravidanza. Io l’ho perso un bambino e francamente l’unica a perdersi sono stata io. Il mio bambino no, vive con me dal giorno del suo concepimento, come tutti i miei figli. Era mio figlio e come tale l’ho amato e continuo a farlo. Non l’ho mai abbracciato ma l’ho avuto in grembo. Non l’ho mai visto ma l’ho sentito. Non l’ho mai conosciuto ma ho conosciuto il suo amore. Non l’ho perso ma ho perso me.
Non ero più la stessa, lo notavano anche le persone più lontane. E nessuno si spiegava il perché, che dolore incompreso quello di un aborto. Senza comprensione, senza l’affetto che solitamente si deve a un lutto. Non riuscivo più a ridere e non riuscivo a immaginare come avrei fatto a tornare me stessa. Che ingenua, non potevo: i figli, come i grandi dolori, ti cambiano in modo definitivo. Guardai in fondo a quel dolore, per molti mesi, e trovai nuove risposte e una nuova me.
Oggi ricorre il giorno in cui persi me stessa ed è curioso. Da oggi lavoro nel mio studio. La mia stanza tutta per me. Non ne avevo mai avuta una. Questa è bellissima, racchiude il mio candore, i miei colori, quaderni e libri meravigliosi. E una scrivania tutta in vetro. Con dentro, una vecchia macchina per scrivere. Come dice la persona stupenda che l’ha progettata (e regalata assieme alle persone più generose che conosca) questa scrivania raccoglie “pezzi di vetro, pezzi di cuore e pezzi di memoria”. I miei pezzi. Quelli persi e quelli trovati. Non riuscivo a ridere allora, né a capire né a immaginare. Una cosa sola mi salvò. Scrivere.
L’immagine è tratta dall’albo illustrato “La principessa che scriveva” di Nerina Fiumanò e Angelo Ruta (Verbavolant)
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