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Cosa dice mamma, Cosa fa il mondo

Io resto a casa (la casa dov’è?)

Questa mattina a colazione ripetevamo le regole dell’orologio. La didattica a distanza porta i bimbi lontani da scuola ma noi a distanze ravvicinate. La scuola è sempre, è in ogni dove. La scuola è nei messaggi a tutte le ore, nelle voci delle maestre che emozionano i bambini e, forse, viceversa. La scuola è nei telefoni, nei quaderni e nei fogli sparsi, nei video, nei giochi online, nelle cose costruite assieme. La scuola siamo noi. Ovvero la fatica di lavorare da casa ed essere contemporaneamente gli insegnanti dei nostri figli. Una fatica immane. Eppure è bello essere parte di questo loro mondo, avere uno sguardo su quel pezzo di tempo in cui non siamo mai entrati. Quello lontani, quello del tuo universo distante dal mio universo, quello del ritrovarsi e raccontarsi a fine giornata. Questo tempo invece lo raccontiamo insieme. È l’apoteosi della vicinanza, della presenza, della contemporaneità.

Non siamo mai stati promotori della campagna dell’andrà tutto bene. Come andrà, lo vedremo. Con le mie amiche scambiamo meme crudeli sull’iniziativa dell’arcobaleno. Le maestre che stimo immensamente non me ne vogliano se abbiamo tardato a mandare il nostro. Colpa mia, interamente colpa della mia voglia sovversiva e del mio rifiuto di dire ai bambini cosa scrivere, cioè cosa pensare. Lo so, era solo richiesto un carico di colori e un pretesto per sentirsi “insieme”, per partecipare, sperare e guardare oltre. E questo è bellissimo, ma come non dico mai a un amico in difficoltà, andrà tutto bene, così faccio ora. Passato il mio moto di ribellione ho trovato un compromesso con me stessa: hanno fatto anche loro gli arcobaleni, liberi di scrivere un proprio pensiero. “Amo le mie maestre” e “Le nuvole sono magiche?”. Due belle risposte alla mia domanda di speranza in questa “missione”. Continuare ad amare, anche a distanza, e continuare a sognare. Gli arcobaleni comunque li hanno fatti da schifo, va detto per amor di verità.

Si fa quel che si può. Si resta amici con le videochiamate, con le risate davanti a uno schermo, si resta professionisti con la creatività e la costanza, si resta amanti con la pazienza. Si resta umani abbracciando con il pensiero intenso le persone meno fortunate di noi. Chi sta soffrendo e vorremmo abbracciare, chi è solo e vorremmo abbracciare. Chi è preoccupato e sì, vorremmo abbracciare. Torneremo a farlo. Al momento un modo di contenere questa ansia è fermarsi a osservare. Claudio, che negli ultimi tempi era nervoso per la mia assenza da lavoro e così bramoso di baci, ora è calmo e di quei baci è straripante. Davide, che cerca attenzioni e conferme, e gioco, tanto, sempre. E Marco, che prova anche lui a tenere assieme scuola e lavoro e lavatrici. E l’altro giorno, come ogni giorno, diceva: è lontano il 3 aprile. Sì, amore, è solo il primo giorno che sei a casa.

Io resto a casa, certo, ma ve lo dico, il mio vizio di parlare da sola sta peggiorando. Tuttavia quella con cui parlo spesso mi dice che sono immensamente fortunata, perché questa cosa è capitata ora che abbiamo entrambi un lavoro (l’anno scorso non so come avremmo fatto ad affrontarla), e perché restiamo in questa casa. Questa che abbiamo faticato a tenere. Una casa con spazi ampi che non ci fanno sentire costretti e con un giardino che pare un’isola benedetta. Con le lobelie che ci fanno sentire in mezzo alle farfalle, il salice a proteggerci e l’albicocco a dirci il fiorire della prossima primavera. Come ha detto Claudio, con questo sole non sembra ci sia il Coronavirus.

E certo che c’è, coi numeri impietosi, con le paure atroci. Ho mangiato un’insalata, l’avranno imbustata con i guanti? Bambini lavatevi subito le mani. Intanto le mani di Marco sono screpolate e le mie fanno male al solo pensiero di quando le rilaverò di nuovo. Tra poco. Quanto tempo resiste il virus sugli oggetti? Le nostre mamme a casa hanno bisogno di aiuto? Come possiamo tenere più alto il loro umore? Bimbi, mandiamo un vocale. E gli amici più fragili? Cosa possiamo fare per loro? E le persone che hanno perso qualcuno? Non c’è pensiero più triste del non poter avere un funerale, un ultimo saluto, un abbraccio collettivo. Un rito. Come dice sempre la mia sorella di sangue, c’è bisogno dei riti.

Il nostro rito è programmare cose insieme che puntualmente non facciamo. Nel corso degli anni ci siamo regalate viaggi, concerti, spettacoli teatrali, ne avessimo visto uno… Ora ci salta Brunori e non abbiamo nulla da programmare. Ma come dicevo, questo non è un contesto da tempi futuri. Restare a casa è fermarsi. La mia casa è questo tempo presente e strano, come l’orologio di cartoncino che abbiamo costruito, le lancette si muovono sotto le nostre mani incredule e i numeri sono irreali. La mia casa è il pic nic in pausa pranzo, gli abbracci sul divano la sera. I baci della buonanotte e le storie dei bimbi al mattino. Fanno questa gara di fiabe inventate che mi lascia con gli occhi d’incanto. La scorsa settimana Davide aveva la febbre (giusto per provare un brivido nuovo) e dormiva nel lettone immerso nelle coccole del papà. Claudio era nel letto con me, stretti stretti, svegli prima di tutti, nel tempo delle storie. Con noi c’erano ricci e scoiattoli in festa, ed elefanti che mangiavano troppo, e sole e luna in litigio, e nuvole in soccorso. Claudio, gli ho detto, la tua fantasia è un dono, promettimi di coltivarlo sempre! Sì, a volte parlo loro con messaggi eterni, sembrano accoglierli. Da dove ti vengono tutte queste storie? Dalla pancia, mi ha detto lui. Prendo sempre per buone le risposte dei miei figli. Io resto a casa e resto qui, nella mia preoccupazione e nella mia fatica. Nella mia voglia di abbracci e nel mio bisogno di risate. Nella mia sete di vicinanza e nella mia pancia piena di fantasia.

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