Con te non mi sento mai sola. Mai persa, mai smarrita, confusa. Mai spensierata, leggera, altrove. Con te sono sempre presente a me stessa. Ho piena consapevolezza del mio corpo, del mio sentire. Con te vado a letto e con te comincio il giorno. Con te vivo e sì, mi sento viva. Perché solo chi è morto non prova dolore.
Mi sono spesso interrogata su cosa fosse questa mia propensione al dolore, come qualcosa che mi portava alla ricerca, che mi muoveva. All’incontro, alla vicinanza, alla conoscenza profonda. Forse quello conosciuto o forse, penso ora, il dolore che doveva arrivare. La mia vita con un dolore cronico.
Lo capisci col tempo, infatti, che non si tratta di un ospite passeggero. Lo capisci quando resta, quando quel tempo si ripete, si allunga. E da cronometrato a cronico non è un salto. È un’infiltrazione, un accesso subdolo.
Si dice che i dolori siano messaggi del corpo. Cosa vuol dire questa parte di me? Cos’ha da raccontare? Cos’ha da sbraitare? È come certi bambini, cattura l’attenzione nel modo peggiore. Mi chiama, insistente, urla, soffoca, spinge, esplode. E a me non resta che respirare. Respirare piano, respirare forte. Lasciarmi attraversare da capo a piedi da una ventata d’aria, immaginandola capace di spegnere questo incendio.
Con te non mi sento mai spenta, mai quieta. Mai ferma. Devo cambiare, devo agire, cercare, sperimentare. E sopra ogni cosa, devo ascoltare. Certo, mio caro dolore, avresti potuto parlarmi prima in un modo migliore. Ma eccomi, ti ascolto, come sento ogni spillo, come ogni lama che mi trapassa la pelle.
Dimmi dei miei sensi di colpa, delle emozioni in ogni viscera, del mio trattenere e del mai lasciar andare. Tengo insieme tutto, la mamma e la moglie, la donna e la redattrice, la figlia e l’amica, la zia e la lettrice, la casalinga e la scrittrice. Metto in fila gli errori, ed è lì che compio lo sbaglio maggiore. A dirmi che sono tanti, uguali e diversi: sempre miei. Il mio errore cronico. Più tengo insieme più mi sembra di perdere pezzi. E questo pezzo, questo, mi urla in faccia che sono una, rotta o intera, frammentata o salda, il mio intimo e il mio insieme, sono una e tutta, tutta me. È ora di ascoltarmi, di accogliermi così. Di cogliere con cura proprio ogni pezzo perduto, smarrito per strada. E sopra ogni cosa, ogni pezzo mancante. Ogni vuoto che straripa. E si riempie ancora, e ancora, di dolore che chiama.
E sia. Ti ascolto in silenzio. Quello non mi ha mai fatto paura. Il mio silenzio è un soffio di parole delicate, parole di rispetto. Imparerò a non odiarti. Imparerò il rispetto per ciò che non mi hai detto e ora vuoi dirmi. Imparerò a capire. E forse capire sarà la risposta, capire sarà guarire.
L’illustrazione è tratta dall’albo “La bambina di vetro” di Beatrice Alemagna (Topipittori)
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